Ci sono molti autori che ci hanno lasciato in eredità frasi latine famose sulla vita . Seneca è uno di questi. 

Inoltre in questa pagina puoi trovare altre frasi di: Cicerone , Lucrezio, Seneca 2

Seneca ci accompagna per mano con i suoi consigli per fruire nel miglior modo possibile del dono della vita; le sue opere sono manuali da utilizzare in ogni occasione.

 

«Maximum vivendi impedimentum est exspectatio, quae pendet ex crastino, perdit hodiernum.»

Seneca, De brevitate vitae, IX

“Il più grande ostacolo del vivere è l’aspettativa, che dipende dal domani e manda in rovina l’oggi.”

Il mònito di Seneca qui si riferisce a due temi del De brevitate vitae, intrecciati e connessi tra di loro, quello della vita e del tempo. Il buon utilizzo del tempo è una regola necessaria per un’alta qualità della vita. Quindi, quando programmiamo il nostro futuro, l’aspettativa che ne deriva distrugge il momento presente, che, secondo Seneca, è il tempo del saggio. Il tempo e la vita acquistano il loro valore solo se rientriamo in noi stessi, con la meditazione e la ricerca di un tipo di esistenza coerente, che ci impegni nell’intimo e non nella superficie. Inoltre, si deve anche tener presente che il futuro della nostra vita è legato alla sorte, per cui non possiamo averne il controllo.

GRAMMATICA

> il termine quae , che compare nella frase è un pronome relativo femminile singolare, riferito al termine expectatio.

 

 


 

Un altro personaggio  che ci ha lasciato in eredità frasi famose è Cicerone. Leggiamo Cicerone in una riflessione tratta da una delle sue opere di argomento filosofico più significative, le Discussioni di Tuscolo.

«Confer nostram longissimam aetatem cum aeternitate: in eadem propemodum brevitate, qua illae bestiolae, reperiemur.»

Cicerone, Tusculanae disputationes, I, 94

“Confronta la nostra età più avanzata con l’eternità: saremo trovati nella medesima condizione di brevità, in cui si trovano quegli animaletti.”

 

Cicerone poco prima cita una frase di Aristotele, che racconta di certi animaletti, che vivono un solo giorno. Quello di essi che muore dopo otto ore muore a tarda età, quello che se ne va al tramonto è decrepito. Ecco il senso del paragone: se noi lasciamo la vita a tardissima età, nonostante il lungo tempo vissuto, in confronto all’eternità siamo nella stessa condizione di quegli animaletti.

È  un tema molto frequente nei pensatori antichi: il rapporto tra vita e tempo, che porta alla riflessione sulla durata del tempo che ci è stato concesso.

 


 

«exit saepe foras magnis ex aedibus ille, / esse domi quem pertaesum est, subitoque revertit, / quippe foris nihilo melius qui sentiat esse»

Lucrezio, De rerum natura, III, 1060-1063

“Spesso dai sontuosi palazzi irrompe all’aperto colui che in casa è stato preso dalla noia, ma subito vi torna perché avverte che fuori non c’è nulla di meglio.”

 

Straordinario poeta della latinità, Lucrezio (nome completo: Tito Lucrezio Caro) si assume la grande responsabilità di divulgare a Roma la filosofia di Epicuro, uno dei maestri della filosofia greca. E lo fa creando un poema di enorme importanza e novità. Spiega cioè filosofia non in un trattato, ma in versi, cercando (come dice lui in un passo) di addolcire la serietà e la profondità dell’argomento con una forma di esposizione piacevole, come la poesia. Come si fa con i bambini quando vogliamo dare loro una medicina salutare, ma amara e aspergiamo di miele gli orli del bicchiere in modo che quella medicina sia meno ripugnante.
Argomento principale del De rerum natura è la natura con le sue leggi immutabili ed eterne, che costituiscono l’essenza materialistica dell’esistenza umana. Noi siamo soggetti, secondo l’epicureismo, a cicli vitali ben determinati e fissati, che non lasciano spazio a nessun intervento provvidenziale o divino, o ad uno scopo che è stato assegnato per la nostra vita; ecco che siamo in balìa di paure, quali quella della morte o dell’aldilà, perché non riusciamo a spiegarle. Queste paure generano in noi una sorta di «tedio», di noia o insoddisfazione o addirittura di nausea della vita.
Ma se, come dice la nostra massima, l’uomo che cerca di uscire dal suo bel palazzo, per eliminare la noia, guarda fuori, trova che non c’è nulla di meglio della sua condizione, e ritorna all’interno. Lì troverà il suo consueto «male di vivere», ma avrà la consapevolezza e quasi il sollievo che la vita umana, quella di tutti, è soggetta allo stesso male che prova lui.

 


«adversarum impetus rerum viri fortis non vertit animum: manet in statu et quidquid evenit in suum colorem trahit»

Seneca, De providentia, II, 1

“l’assalto delle avversità non abbatte l’animo dell’uomo forte: egli rimane nel suo stato e qualsiasi cosa accada la assorbe nel proprio aspetto.”

 

Il tema evidenziato dalla frase di Seneca è quello non certo insignificante della vita come sofferenza. E il grande autore latino si sofferma a riflettere sulla domanda rivoltagli dall’amico Lucilio: «Perché , se il mondo è governato dalla provvidenza, ai buoni càpitano tante disgrazie?». La risposta di Seneca è che la sofferenza è una sorta di esercizio che Dio ci assegna, perché la virtù possa esistere e fortificarsi. E non diversamente da un soldato, la «milizia» a cui siamo sottoposti è il banco di prova per l’uomo che deve diventare forte e saggio; per essere veramente tale, le avversità devono scivolare via o essere assorbite, e quindi l’uomo saggio diventerà più forte degli eventi fortuiti ed esterni.

 

          «vita festinat; mors interim aderit, cui velis nolis vacandum est.»

Seneca, De brevitate vitae, VIII, 5

“la vita si affretta: nel frattempo si avvicinerà la morte, per la quale, che tu voglia o no, bisogna avere tempo.”

Seneca si riferisce al fatto che dobbiamo costantemente prepararci non solo a vivere, ma anche a morire. In un altro passo afferma: «Così ogni giorno deve essere disposto come se raccogliesse le forze e consumasse e raccogliesse la vita.». «Chi obbedisce volentieri agli ordini evita la parte più dura della schiavitù: fare quello che non vuole», l’ordine in questo caso è di disporci con animo sereno di fronte alle circostanze, alle imperscrutabili leggi di natura.

GRAMMATICA

vacandum est è la cosiddetta «perifrastica passiva», struttura sintattica che indica in latino l’idea di “dovere”.

 

 

                                    «quamvis vetus arbustum posse transferri.»

Seneca, Ep. ad Lucilium 86, 14

“Benché vecchio, un albero può essere trapiantato.”

Frase molto famosa e citata già nel Medioevo, esprime una rivalutazione del ruolo e delle possibilità di una fase della vita umana, la vecchiaia. L’anziano è paragonato ad un albero che può «riprendere» il ritmo vitale attivo, in buone condizioni fisiche e mentali.

 

«hoc iter vitae assiduum et citatissimum quod vigilantes dormientesque eodem gradu facimus occupatis non apparet nisi in fine».

Seneca, De brevitate vitae IX, 5

“questo viaggio della vita, costante e velocissimo, che percorriamo con la stessa andatura da svegli e da addormentati, non si manifesta agli affaccendati se non alla fine”.

Seneca esprime spesso la sua disapprovazione e il suo rimprovero nei confronti degli «occupati», degli affaccendati, di coloro cioè che, in preda ad un’ansia continua, passano la loro vita ad organizzare costantemente il loro futuro e si vantano della loro lungimiranza. Non capiscono che il dipendere dal domani distrugge il loro presente. Ad un certo punto si trovano davanti la vecchiaia, alla quale sono arrivati impreparati e indifesi, e di fronte alla quale mostrano un atteggiamento infantile.

GRAMMATICA

vigilantes e dormientes sono due participi presenti. Letteralmente: «stando svegli» e «dormendo».

Frasi latine famose sulla vita

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